Unadonnaalcontrario al Digitalklive 2.0

Digitalklive Roma 2017

Quando ho partecipato al mio primo evento digitale, mi sentivo come Nemo che dall’Atollo si butta nella corrente oceanica.

Da un lato spaesata e piccolissima. Dall’altra estasiata davanti a tanti Tonni, Tartarugoni, Squali.

Non so se ai relatori del #websucarta sia gradito questo paragone marinaro, ma davvero mi sentivo tanto “diversa” (sensazione a me non sconosciuta, come sa chi mi segue da tempo).

Per fortuna il mio lato multipotential che tanto mi ha fatto soffrire in gioventù, oggi mi torna utile.

Avere avuto nella mia vita più passioni e averle rese quasi tutte un lavoro, mi ha permesso di allenare una forte elasticità mentale.

Per questo ho deciso che mi sarei messa alla prova per vedere se il mio Nemo interiore fosse diventato una Cernia di tutto rispetto.

E ho partecipato al Digitalklive 2.0.

Una giornata intera di formazione e marketing digitale da cui non sono uscita col mal di testa….

Yeah, un traguardo gigantesco!!!

E pensare che si è parlato prevalentemente di “dati” all’inno di: “Senza dati sei solo un’altra persona con un’opinione” (William Edwards Deming)”.

Ora che non ti venga in mente che io sia radicalmente cambiata. Magari!

Sono sempre quella che, se il mio cervello vede i dati di analytics o pensa al content marketing, comincia a produrre grandi quantità di fumo grigio. E il mio sogno rimane quello di potermi permettere un giorno un’intera squadra di tecnici per non pensare più a SEO, metriche e compagnia bella.

Francesco Ambrosino digitalklive
Il premio per le mie slide preferite va a Francesco Ambrosino: sì, ok, amo Breaking Bad. E allora?

Networking

Una delle cose che mi porto a casa da questi eventi, in particolar modo dal Digitalklive, è aver incontrato dal vivo persone con cui fino al giorno prima mi ero scritta sul web.

La possibilità di fare un vero e proprio network.

Di conoscere e di conoscersi.

E grazie a tutto questo poter fare un’analisi di me stessa. Capire insomma a che punto mi trovo e quale strada potrebbe essere la migliore per crescere.

Sono convinta che condividere sia sempre e inequivocabilmente la chiave per crescere professionalmente ed umanamente.

digitalklive 2.0
Roberto Verde e Gianluca Mauro

Giovani menti & funky socks

Sono i giovani che fanno le rivoluzioni. È inutile che ci giriamo intorno.

E dai giovani imparo sempre.

Gli interventi del Digitalklive che mi hanno “agganciata” di più sono quelli dei due relatori più giovani: Roberto Verde e Gianluca Mauro. Due testoline che hanno parlato di Trigger e Intelligenza Artificiale. E si sono pure fatti capire.

Solo per questo va a loro il primo award alcontrario della storia (primo anche perché non esiste).

Tutte e due sotto i 25 anni. Poi non mi dicano che i giovani italiani sono dei pigri bamboccioni perché io di giovani di talento come loro ne ho conosciuti parecchi. E mi sono anche un po’ stufata di sentire i “vecchi” lamentarsi di ‘sta roba.

Ora ti starai chiedendo come mai nel sottotitolo ho scritto “funky socks”. Deformazione professionale!

Non potevo non notare tanti calzini, diciamo, “interessanti”. Il che tra l’altro è cosa a me molto gradita perché si affaccia finalmente per il calzino bianco il momento del game over.

Voci di giubilo si levano dalle tombe di Coco e Ferrè!

Saltando la divagazione modaiola, passo alle conclusioni sul Digitalklive 2.0.

Oggi dopo due anni di blog, una discreta crescita su Instagram che mi ha portato a diventare, ebbene sì, Digital Strategist, e ancora nessuna conoscenza di codici, mi ritengo un’entusiasta di questi eventi.

Non sarò quella che farà critiche, non perché sia tutta carina e a modino, ma esclusivamente perché ritengo d’avere ancora tanto da imparare.

Sono una marinaia: intervista a Valentina Meloni

Questa è una di quelle storie che ti si infilano dentro e non riesci più a toglierti dalla testa.

Una storia che ti capita per caso nelle orecchie e non puoi fare a meno di raccontare.

Questa è la storia di Valentina Meloni, una donna che, dopo aver svolto mestieri molto diversi tra loro (segretaria, impiegata in azienda, in banca, ecc..), ha deciso di girare il mondo in maniera avventurosa.

Come?

Su una barca. Proprio così!

Ha imparato il duro mestiere del marinaio, anzi della marinaia, e per mesi ha girato il mondo in barca a vela toccando paesi come Singapore, Malesia, Thailandia, Sri Lanka, Maldive, Yemen, Africa.

Un anno nel bel mezzo dell’oceano Atlantico, l’anno dopo in quello Indiano e, infine, nel Mar Rosso.

Oggi Valentina è tornata in Italia e io sono riuscita a strapparle un’intervista che sono certa sarà per tutte/i noi una boccata d’aria fresca e una spinta in avanti nella realizzazione dei nostri desideri.

giro del mondo in barca Valentina Meloni
Valentina a Kabri – Thailandia *

Intervista a Valentina Meloni

Ciao Valentina e grazie di cuore per aver accolto la mia richiesta di raccontarci la tua storia.

  • N. Posso chiederti innanzitutto chi era Valentina prima di intraprendere questo enorme cambiamento nella vita? Cosa sentivi, provavi quando ti alzavi dal letto la mattina e quando finiva la tua giornata la sera?
  • V. Valentina era molto simile ad ora ma, allo stesso tempo, un po’ diversa. Negli ultimi dieci anni ho viaggiato tanto e mi sono ritrovata a vivere all’estero per svolgere lavori molto diversi tra loro. Le sensazioni che provo quando mi sveglio e vado a dormire sono sempre le stesse. Mi piace l’idea di non sprecare tempo. E se non impiego bene le mie giornate inizio a sentirmi un po’ inquieta. Mi piace avere sempre qualche progetto nuovo da curare o qualche avventura da intraprendere. Questo è ciò che ribolle in me da sempre. Sono comunque un po’ diversa perché ho nuove esperienze nel mio bagaglio e questo mi rende una persona in continua evoluzione.
  • N. E chi è oggi Valentina Meloni?
  • V. Fondamentalmente una persona adulta ma con lo spirito selvaggio di una bambina ribelle.
  • N. Ci racconti qual è stata la molla che ti ha fatto decidere di partire? 
  • V. L’idea di intraprendere un nuovo viaggio imparando un mestiere così affascinante e il desiderio di trovarmi isolata da tutto e tutti in mezzo all’oceano con il cielo incredibilmente stellato sopra di me. Questo è qualcosa di davvero impagabile.
Thailandia Valentina Meloni
L’arcipelago di James Bond Island in Thailandia *

  • N. E adesso? Sei tornata in Italia, alla quotidianità. Come vivi questa nuova dimensione, perché immagino ti sembrerà nuova rispetto a prima?
  • V. Quando torno a casa ci sono degli aspetti che continuano ad appartenermi, altri invece, li riscopro molto lontani. Ma forse è solo il tempo che passa e modifica le cose a prescindere dai miei viaggi. Quando lasci la tua città d’origine per molti mesi e poi torni, i cambiamenti sono sempre più evidenti e li noti con maggior attenzione.
  • N. Ti va di raccontarci tre tuoi obiettivi, uno a breve, uno a medio e uno a lungo termine?
  • V. Il mio obiettivo a breve termine è quello di trovare una nuova dimensione lavorativa il più presto possibile. E questo implica il dover decidere che professione intraprendere nei prossimi mesi. Ho tante idee ma devo decidere quali seguire. L’obiettivo a lungo termine è quello di riuscire a trovare l’ispirazione per scrivere un libro che raccolga le avventure per mare e per terra degli ultimi anni. In tanti, amici e conoscenti, mi hanno chiesto di mettere su carta queste esperienze. Ma ora come ora, non ho ancora trovato la motivazione per riuscirci. In realtà, ho sempre raccontato le mie esperienze nel mio blog e nei diari cartacei che porto sempre con me durante i miei viaggi, ma scrivere un libro è una cosa seria. E non vorrei deludere le aspettative di chi mi leggerà e dell’albero che si sacrificherà per donarmi la carta.
viaggio intorno al mondo Valentina Meloni
Tratto di navigazione tra la Malesia e la Thailandia *
  • N. Cosa diresti a chi si è sentita/o dire da tempo “Questo non è un mestiere per te”? 
  • V. Direi che c’è sempre possibilità per diventare ciò che si vuole essere. Basta impegnarsi molto e non smettere mai di credere nelle proprie capacità. Ci saranno molti no all’inizio forse e anche delusioni, ma nulla ci vieta di diventare persone nuove. Se siete intrappolati in qualcosa che non vi piace, cambiate e lavorate duramente per costruire una persona nuova. Si può fare. C’è vita dopo il cambiamento. Non ascoltate chi vi dice che non ce la farete perché spesso è qualcuno che ve lo dice per paura e perché lui stesso non ha mai rischiato. E soprattutto, prendete in considerazione strade che non avete mai considerato. Magari la prima che sceglierete non sarà la definitiva, magari sarà una strada limitrofa che vi porta alla principale, a quella che fa davvero per voi.
 
*Tutte le foto sono coperte da copyright e appartengono a Valentina Meloni

La paura al contrario

Paura al contrario

Difficilmente parlo di cronaca… per vari motivi… perché questa non ritengo sia la sede giusta… per mancata competenza… per una mia sana voglia di ca**eggio e leggerezza.

Ma qualche giorno fa una mia amica mi ha fatto notare che nella sua zona stavano cercando Igor il russo (che poi forse non è neanche russo) e che le forze dell’ordine avevano consigliato di rimanere chiusi in casa. E sinceramente ho compreso la paura.

Io per prima le ho detto: “Non uscire di casa, please”.

Paura: una brutta bestia

Ed è stato un attimo pensare ai fatti della Siria. È stato un attimo pensare alle ultime notizie. È stato un attimo pensare a qualche settimana fa quando a Roma c’è stata una manifestazione importante e hanno chiuso la metro e chiesto alle persone di non uscire se non strettamente necessario.

Anche mia madre che ascolta la TV si è sincerata che io non mettessi piede fuori casa. Ma io proprio quel sabato mattina avevo una terapia medica da fare e sono stata lì, lì per non andare fino all’ora prima dell’appuntamento. Poi ho deciso che sarei andata, che non dovevo andare esattamente nei luoghi della manifestazione e che quella terapia era fondamentale per me.

Sento dire che “il mondo ultimamente va in frantumi” e mi chiedo se è così solo ultimamente.

Non andava in frantumi durante gli anni della prima guerra mondiale? Non andava in frantumi durante il nazismo e i suoi lager? Non andava in frantumi durante la guerra fredda USA/URSS? E se posso dire… non va in frantumi in quegli angoli della terra dove la guerra c’è ogni giorno, da anni, ma i media non ne parlano?

Detto sinceramente, io non sopporto più questa comunicazione del terrore.

E questo vale anche quando sminuiscono le situazioni importanti, quando pensano che le persone “percepiscano” e non vedano chiaramente il problema.

Vorrei che avessero il coraggio di dirlo in faccia a chi è stato ucciso, a chi è stato rapinato, a chi ha avuto la propria casa violata. Anche questa è comunicazione del terrore.

Anche per questo un tempo dissi “abbiamo bisogno di Good News“.

paura del mare?
Passeggiare sulla spiaggia è una delle cose che mi dà più senso di libertà, il contrario di paura

Una comunicazione che ti rende impotente

Non mi piace pensare quando sono in metro che potrei saltare in aria in quell’istante senza aver realizzato tutte le cose che ho ancora voglia di fare.

Non mi piace vedere tutti quei militari con i mitra al collo, sebbene capisca e ringrazi le forze speciali perché so che sono lì per la mia sicurezza.

Non mi piace vivere con questa sensazione di paura costante e crescente. E soprattutto non sopporto sentirmi impotente.

Perché è questo che fa la comunicazione del terrore, farci sentire piccoli e impotenti.

Non ci sto.

Quando iniziò la guerra in Afghanistan, una donnina giapponese a cui avevo raccontato questa mia sensazione di impotenza, mi disse: “Ogni volta che c’è una guerra fuori, c’è una guerra anche dentro di noi, proprio nello stesso momento”.

E tutt’a un tratto qualcosa è cambiato. Tutt’a un tratto l’ho sentita quella guerra dentro di me. Tutt’a un tratto ho visto il mio rancore. Tutt’a un tratto ho percepito i miei conflitti. Ma soprattutto non mi sono più sentita impotente.

Troppo facile pensare che “loro” sono peggio di noi, che è colpa “loro”, che se non ci fossero “loro” staremmo meglio.

Noi bravi e belli. “Loro” brutti e cattivi.

Io sono un essere umano. “Loro” sono esseri umani.

“Loro” hanno una profonda e infinita oscurità. Io ho una profonda e infinita oscurità.

Ecco che sento quella voce: “Ma dai, Noemi. Non puoi mica paragonare i nostri scazzi quotidiani con il terrorismo?”.

Io per prima

A questa domanda risponderò quando io, per prima, riuscirò a non sclerare davanti all’ennesimo fastidio che mi crea la persona X.

Risponderò quando io, per prima, riuscirò a trasformare persino la rabbia con me stessa, oltre che quella verso chi mi ha fatto del male nella vita, e intendo un male serio, di quelli che fai 20 anni di analisi.

Risponderò quando sarò altrettanto indignata per il male che facciamo anche alla nostra terra. Conviviamo senza levare alcuna voce contro i cambiamenti climatici, responsabili di danneggiare la natura e i bronchi dei nostri figli.

Ti sei accorta/o di quanto siano aumentate le allergie e i casi di bronchite nei nostri bambini cittadini?

Ma per quello il mondo non va in frantumi.

Non va in frantumi se la differenziata “ci penserà qualcun altro”. Non va in frantumi se mando a fan…. quello che mi ha tagliato la strada.

Non va in frantumi se ancora ci sono lager esistenti, sebbene al posto degli esseri umani ci siano degli animali a morire dentro quei lager.

No, mi dispiace, non ci sto.

Oggi mi riguardo dentro e riparto da me. Non sono impotente.

Io posso

E sia chiaro: questo non toglie responsabilità a uno stato inesistente che protegge solo ed esclusivamente i suoi interessi economici e personaggi attaccati alle loro poltrone.

Qui si tratta di rivoluzionare completamente un pensiero, una mentalità.

È dentro e fuori.

Non è solo dentro. Non è solo fuori.

Qui si tratta di ribaltare gli altarini incancreniti da anni di lavaggio di cervello.

Si tratta di credere che noi possiamo, tutti noi.

Che abbiamo paura di volare, paura di amare, paura di morire o delle malattie, paura della solitudine, Noi possiamo.

I belli, i brutti, i buoni, i cattivi, persino i giornalisti.

Perché a volte un passo indietro, un po’ di umiltà nel raccontare le notizie, insomma, su, non guasterebbe.

Il nostro primo incontro

È strano perché io non ci pensavo più da un po’… a quell’incontro.

È stata la mia amica Maddalena qualche giorno fa, su twitter, a chiedermi di raccontarlo.

Oramai è diventato tutto talmente quotidiano e “normale” che pensare ci sia stato un primo incontro, oggi, mi risulta strano.

Eppure c’è stato. Ed è un ricordo molto vivido nella mia memoria.

Il nostro continuo incontro

Un incontro, il nostro, che racconta esattamente chi siamo

Io, lei e io e lei: un incontro al limite del comico.

Ci avevano detto che avremmo incontrato le bambine (eravamo due coppie) nella casa dove vivevano, perciò l’idea di scendere dall’aereo prevedeva un’unica preoccupazione: passare i controlli con tutti i documenti del caso e ritirare i bagagli. Il che non era una preoccupazione qualunque, visto che il paese delle nostre bimbe è la Repubblica Democratica del Congo, e l’aeroporto non era la Malpensa di Milano.

La pelle sudaticcia, le occhiaie profonde… e chi cavolo aveva dormito in aereo!

Insomma non certo l’aspetto curato che speri di avere all’incontro più importante della tua vita. Ma forse ancora allora non ne ero davvero consapevole.

Il piazzale davanti l’aeroporto era una vera bolgia ma era l’Africa. Ero già stata in Africa e quella bolgia l’avevo amata. Eppure questa volta dovevo stare attenta: non ero lì in vacanza, avevo una responsabilità.

Mi ricordo bene d’aver visto in lontananza due bimbe correre in mezzo a quella bolgia e ho cominciato a gridare: “Sono loro, sono loro”, senza che i miei compagni di viaggio se ne accorgessero.

Non è passato che qualche secondo e quello scricciolo di poco più di un metro mi ha buttato giù con un placcaggio degno di un campione rugbista.

Le valigie sparse per il piazzale, completamente rimosse dal cervello. In pochi secondi mi sono trovata con il gomito sanguinante, C. in braccio, con le sue gambe in mezzo alle mie, nella stessa posizione in cui le donne partoriscono.

Una strana coincidenza, vero?!

Primi giorni

Di quei primi giorni ho tanti ricordi, non soltanto di momenti passati insieme, ma soprattutto di emozioni, emozioni contrastanti. Il suo sguardo indagatore. La sua energia vitale che, per fortuna, non è mai scomparsa. Il suo metterti alla prova… continuamente.

Le mie paure in quei bagni pieni di zanzare, io che non avevo fatto la profilassi antimalarica. La sensazione di essere rifiutata e di aver fatto tutto quel percorso inutilmente.

Fino a quella notte…

Una delle tante notti insonni…

Esattamente come le neo mamme svegliate dai ritmi del loro bambino.

Una notte difficile, in cui camminavo per la casa buia, da sola.

Mi sembrava di impazzire.

Mi sembrava che tutta l’energia che avevo messo in questa cosa fosse stata vana.

Ero pronta a dichiarare la sconfitta, tanto ero stanca e provata.

Ma poi mi sono seduta, ho cominciato a recitare il mantra che recito tutte le mattine e le sere perché avevo bisogno di staccare la mente, di staccare da tutte quelle emozioni disarmanti.

E proprio lì, in quella notte buia, ho preso una decisione.

La decisione

Ho deciso che mi sarei presa tutta la responsabilità di questa storia, che lei era mia figlia, che era arrivata da me, non da un’altra donna, e che era venuto per me il momento di crescere e di accettare la mia maternità, io che madre nella vita non avevo mai desiderato esserlo.

Da quel giorno le cose sono cambiate. Ci sono stati altri momenti difficili, ce ne sono ancora oggi del resto, ma io e lei siamo diventate “noi”. E noi siamo diventate una squadra talmente forte che nessuna bugia, nessun ostacolo, nessuna incomprensione può scalfire.

Oggi siamo telepatiche. Ci serve solo guardarci negli occhi per capirci. Le parole sono quasi inutili. Oggi sappiamo entrambe perché ci siamo incontrate e, come dico spesso, se mi avessero chiesto di scrivere come pensavo sarebbe stata mia figlia, quello che avrei scritto non riuscirebbe ad eguagliare quello che lei è nella realtà.

Ho già scritto a lungo delle parole disarmanti che lei mi ha rivolto in questi quattro anni, parole che io ho cercato in molti rapporti della mia vita senza mai trovarle.

Parole che mi scrutano dentro, che comprendono la mia vita profonda.

E gesti come uno di qualche settimana fa… quando mi ha vista giù e mi ha abbracciata con la sua “incredibile” forza africana e mi ha detto:

Io sono qui per proteggerti. Non dimenticarlo mai”.

Poi pensi che sei tu la madre, che è il tuo ruolo quello di proteggere e lei se ne esce con queste parole che spaiano le carte in tavola.

Queste siamo noi

Quel primo incontro è lo specchio di quello che siamo ancora oggi e, probabilmente, di quello che saremo in futuro.

Lei, in maniera assolutamente inaspettata, ha ridato speranza a obiettivi che avevo messo da parte.

Mi ha mostrato che l’universo agisce in un modo tutto suo e che, se non è ostacolato dai nostri pensieri e dalle nostre paure e limitazioni, regala cose straordinariamente più grandi di quelle che la mente umana può cogliere.

Lei ha dato luce alle mie qualità migliori.

Ha permesso a me di vederle, a me che troppo spesso ho incontrato persone che non le hanno viste o le hanno disprezzate.

E oggi io sono di nuovo consapevole di chi sono e di cosa ho il potere di realizzare.