Mammayoga risponde

Quando mammayoga mi ha regalato la sua recensione di Safari, mi ha fatto sentire come chi vince un premio ambito.

Mi aveva dimostrato che Safari non era stato scritto invano e che forse davvero ero riuscita nel mio intento. Poi però qualche giorno dopo, sempre lei, imperterrita, mi ha scritto un’email, molto personale, chiedendomi di partecipare alla rubrica Unadonnaalcontrario chiama gentealcontrario.

E io non ho potuto non dedicarle la rubrica di questo mese.

Sembrerà autoreferenziale ma in verità la pubblico per mostrare il punto di vista di chi non mi conosce se non attraverso la rete e che, su una fiducia basata su “non so che”, ha avuto la voglia di leggere il mio piccolo racconto e farlo suo.

Ecco perciò le sue parole.

In fondo trovi le domande, devo dire, mooolto personali e le mie risposte altrettanto intime.

Mammayoga con Safari

Mammayoga

“Ci sono storie che leggi, ti piacciono, ma poi finisce lì. Ce ne sono altre che leggi, ti piacciono, ma poi fanno molto di più. Eh sì… prima di andarsene da te e prima che tu ti decida a lasciarle andare -con quel pizzico di malinconia che ti coglie nel voltare l’ultima pagina- riconosci che sono storie che in qualche modo sono state capaci di sfiorarti, di dirti qualcosa che a te interessa sul serio.

È un po’ come con le persone che incontri: gli amici, gli amori, i colleghi. Con alcuni scatta qualcosa, con altri proprio non scatta… te ne fai una ragione. Hai presente quando non senti il tempo che scorre? Stai lì e ci stai bene, va tutto bene così. Attimi speciali. In quel momento non sei mosso dall’inquietudine di fare altro. E questa cosa a me succede con alcuni particolari incontri oppure da sola, quando per esempio sto in mezzo alla natura. E mi è successa con il tuo libro. Proprio così. Per questo ho sentito l’esigenza di scrivere di Safari appena l’ho concluso.

Avrei tante domande da farti, Noemi, ma sono anche dell’idea che non tutte le curiosità debbano essere colmate. È come con le poesie e con i testi delle canzoni che amo. Penso subito a De Gregori e a quante volte ho cercato di leggere dietro ai suoi versi, sforzandomi di capire esattamente cosa volesse dire. Tanto abituata a parafrasare che m’incaponivo nel dettaglio. Ma poi mi sono arresa. La bellezza di un testo sta nelle sensazioni, nell’incompreso, nel dubbio; non per forza deve tornarti sempre tutto come in calcolo matematico. C’è un universo, quello dell’autore, che penso debba essere custodito. Lui ti dà qualcosa, lasciando andare un po’ di sé. Ogni lettore ha l’opportunità di cogliere quel fiore ma la radice non gli appartiene, quella va lasciata alla terra.

E allora, Noemi, ho deciso di non fartele tutte le domane che avevo in testa, ma giusto qualcuna. So che mi risponderai al tuo modo da donnaalcontrario, in libertà e senza imposizione alcuna. Come piace a me! Grazie!”

Ed eccole qui le domande di Mammayoga e le mie risposte:

Verità

  • M: Verità. C’è del vero nelle tue righe, questo si avverte forte sin da subito, c’è un percorso che non può non appartenere se non a chi ha scritto il libro, per quanto sicuramente tu ti sia ispirata a storie che vanno anche al di là della tua esperienza personale. È così?”.
  • N: Giuro di dire la verità, nient’altro che la verità, lo giuro: no, a parte gli scherzi (ho sempre sognato di poter dire questa frase), Lisa è un mix di molte donne che hanno attraversato la mia vita. Tra queste donne ci sono naturalmente anche io, c’è anche la mia esperienza di vita, che non è stata esattamente “semplice” ma, come giustamente dici tu, alcune cose vanno custodite dentro di sé, rimanendo nel mondo del “non detto”. In fondo non credo serva sempre conoscere i dettagli ma la trasformazione che una persona fa per cambiare dentro e fuori, quella sì che è importante perché noi siamo tutte/i diverse/i, il nostro bagaglio di vita è diverso, solo la decisione di cambiare e il percorso che da lì viene fuori è veramente significativo.

Il viaggio interiore

  • M: Il viaggio interiore. Il viaggio di cui parli è un viaggio anche e soprattutto alla scoperta di sé, a recuperare la propria verità, condizione essenziale per essere felici, per sentirsi vivi. Via i condizionamenti, le paure, le percezioni distorte della realtà. A volte basta cambiare prospettiva per osservare il mondo con occhi nuovi e questo Lisa lo dimostra ripetutamente nel romanzo. Mi piacerebbe chiederti qualcosa sul buddhismo e quanto questo c’entri con il tuo percorso spirituale.”.
  • N: Il Buddismo accompagna la mia vita da 19 anni ed è effettivamente stato fondamentale nella mia rivoluzione personale. Mi ricordo che quando ho letto le prime pagine di un testo buddista, ho pensato “Ecco, finalmente, sono tornata a casa”. Ritrovavo me stessa in quelle parole, in quegli insegnamenti: la possibilità di cambiare qualunque condizione, anche la più complicata; la comprensione profonda che tutto dipende da te e non da qualcosa di esterno a te; la potenzialità infinita che risiede dentro gli esseri viventi. Naturalmente è un percorso, non sono arrivata in nessun eremo felice. Vivo nella quotidianità, cercando di mettere in pratica quello che imparo, fallendo il più delle volte, alzandomi da terra quando cado e collegandomi a tutto ciò che mi circonda perché so che non esiste felicità se non nella condivisione: io sono felice se anche chi è intorno a me lo è.

Il viaggio fisico

  • M: “Il viaggio fisico. Sei riuscita a portare il lettore in giro per il mondo. Sembrava di essere lì, di osservare la natura con Lisa, di perdersi nella bellezza dei luoghi descritti, di ascoltare le colonne sonore in macchina con lei. A quali luoghi descritti sei più legata e perché?”.
  • N: Per questa domanda ti ringrazio particolarmente. In tanti mi chiedono come ho fatto a descrivere così dettagliatamente luoghi che non ho mai visitato di persona. E non sai quanto mi riempia di gioia questa cosa. Io posso solo rispondere così: probabilmente è il mio amore infinito per il viaggio. Viaggiare mi appassiona come poche cose al mondo, mi fa “respirare” a pieni polmoni. Nella mia vita ho visitato l’Africa, molta parte dell’Europa, l’Indocina. Si sa che amo moltissimo New York e la sua energia vitale. Però tu mi fai una domanda specifica: a quale dei luoghi visitati da Lisa sono più legata ed io ti rispondo che in ognuno di essi, lei fa un profondo cambiamento, un passetto verso la sua felicità, ma alle Hawaii lei fa uno scatto di mille miglia in avanti e probabilmente il momento in cui si trova a Big Island, davanti al cratere fumante di Kilauea è il momento che mi ha penetrato la pelle.

La protagonista

  • M: Lisa, la protagonista. Sono certa che il personaggio di Lisa piaccia molto e possa essere anche fonte di ispirazione per alcune donne. Io per esempio mi sono ritrovata a invidiare il suo coraggio, la sua tenacia, la sua ostinazione a rispondere a se stessa e basta. C’è qualcosa che ha Lisa e che manca a Noemi? E quanto di Noemi c’è in Lisa?”.
  • N: Noemi è determinata e fragile come Lisa. Forse a Lisa invidio il coraggio di essere andata fino in fondo. Ma ci sto arrivando anch’io.

Ecco tutto. Mi sento un po’ più “svestita” dopo queste domande di Mammayoga ma sono qui, sinceramente, così come sono.

E adesso, se ti va, tocca a te: se vuoi essere la prossima protagonista della mia rubrica, qui di seguito trovi il riepilogo su come partecipare. Aspetto la tua storia.

Grazie infinite di esserci!

Rubrica unadonnaalcontrario chiama gentealcontrario

Buon compleanno alcontrario a noi!

Quelle che… “Ma cos’è quella cosa che hai in testa, un cappello?”

Quelle che… “Accontentarti una volta nella vita, no, eh? Sempre roba strana tu”

Quelle che… “Ma dove vai? Che è pericoloso! Si sta tanto bene in Italia”

Quelle che… “Ormai sei diventata grande. Sei anche mamma. Potresti pure darti ‘na calmata”

Quelle che… “Si vede che ti sforzi di cucinare. Non ti piace proprio, vero?”

Quelle che… “Ma tanto tu sei forte, si sa che ce la fai… da sola”

Buon compleanno blog unadonnaalcontrario

Solo un anno fa

Un anno fa, in un pomeriggio noioso, di quelli che so che sto per combinare un guaio… di getto… senza pensare troppo… ho aperto un blog.

Una casa, un luogo di condivisione per me e per tutte quelle/i che si sentivano come me, alcontrario.

Da allora son cambiate tante cose, molte le crisi superate, la mia orsitudine ha lasciato spazio a un po’ di apertura, 51 gli articoli scritti, una nuova veste nonostante la mia web-inability.

Ho intervistato persone grandiose che non avrei avuto nessuna occasione di conoscere se non attraverso questo mezzo.

Ho pubblicato il mio primo libro, Safari, un sogno che ancora oggi sto vivendo grazie a te.

Ho trovato, nel calderone del web, persone di un valore enorme, alcune delle quali sono diventate amiche e amici insostituibili.

Ho imparato tanto e l’ho fatto soprattutto da te che mi hai seguito, sostenuto e donato parte di te.

Oggi siamo quasi 1500 su Facebook, 51000 su Instagram e a me non resta che dire ancora una volta…

Grazie!

Grazie per questa avventura al contrario.

Oggi è il nostro compleanno, il compleanno di tutte le donnealcontrario!

Spegniamo la candelina ed esprimiamo i nostri desideri alcontrario perché lo so che ognuna/o di noi ne ha mille nella testa e io farò il tifo per ognuno di questi mille.

Non so cosa accadrà domani e nei prossimi 365 giorni ma so con certezza che, al di là di questo schermo, ci sei tu e questo mi fa sentire bene, eccezionalmente bene!!!

Il web umano: la mia esperienza

Che ci faccio qui?“, è la domanda che mi son fatta venerdì scorso non appena entrata nella sede della DoLab School.

Ora che questa domanda mi corrisponda perfettamente non è una novità.

Praticamente ovunque mi ritrovi, mi chiedo: «Ma come cavolo posso pensare che io c’entri qualcosa con ‘sta roba qua?». E niente, la curiosità è sempre più forte.

Facciamo un passo indietro.

Qualche settimana fa sul gruppo Facebook #adotta1blogger, leggevo di un evento che si sarebbe tenuto a Roma: #websucarta, i cui relatori erano alcuni dei blogger del gruppo.

Ho pensato che mi sarebbe piaciuto andare per vedere le loro belle facce dal vivo e perché sicuramente avrei imparato qualcosa, visto che le mie competenze di web sono pari allo 0,1% (correva l’anno 2016).

Perciò, organizzato il babysitteraggio, ovvero mamma paziente di un’amica della gnoma, e inviato Lui dalla veterinaria perché chiaramente quel giorno anche la gatta si è ammalata (che quando vuoi fare qualcosa per te, gli ostacoli non se contano), prendo la mia bella metro e arrivo nella sede della LuissLab.

Dolabschool stazione termini
(Pensiero a parte: non avrei mai avuto l’occasione di vedere una parte di Roma tanto bella quanto nascosta se non fosse stato per quest’evento. Perciò già ringrazio)

Il web umano: Che ci faccio qui?

Vado per registrarmi ed ecco che sorge spontanea quella domanda, la prima del paragrafo: “Che ci faccio io qui?”.

Tralasciamo l’aspetto “età” che erano quasi tutti più giovani di me ma soprattutto con competenze evidentemente maggiori delle mie. Io che la parola SEO, fino a qualche tempo fa, stava per Sappi Essere Onesta… che non ce capisci ‘na mazza.

Va beh, alla fine sono entrata nella sala (pienissima), mi sono seduta e ho ascoltato pensando: “Speriamo di arrivare alla fine di queste tre ore senza mal di testa”.

Il mal di testa non mi è venuto perché l’evento ha avuto un ritmo serrato, 15 minuti a relatore. Nessuno aveva il tempo di essere noioso ed era consapevole di doversi far capire. E cavolo: ho capito persino io.

Mi è piaciuto il sottolineare la necessità di lavorare in team, valorizzando le competenze di ognuno. Cosa in cui molte aziende italiane ancora latitano, aziende dove ancora c’è il capo padrone che sa tutto di tutto e meglio di tutti, accentratore di potere, opinioni, valori, capacità.

Ludovica De Luca e gli opposti

Ludovica De Luca, poi, ha detto la frase magica:“Gli opposti si conciliano”.

Capirai, io ci vado a nozze con queste parole:

  • Strategia/Resilienza
  • Pianificazione/Istinto
  • Studio/Esperienza
  • Conoscenza di sé/Conoscenza dell’altro
  • Concretezza/Cuore

Roberto Gerosa e il “cuggino”

Con Roberto Gerosa poi non sono mancate le risate, soprattutto quando ha parlato del grandissimo errore delle aziende italiane di affidare la comunicazione al “cuggino”. Cioè il parente di turno, senza affidarsi ad un professionista serio che porta valore aggiunto all’azienda, oltre che fatturato.

Valentina Sala e gli obiettivi

Quando è arrivato il momento di Valentina Sala, ho pensato: “Ecco, questo è il momento del mal di testa”. E invece Valentina, nonostante abbia parlato di numeri e di KPI (non mi chiedere che sono che ancora devo approfondire), è stata molto chiara, concreta, come piace a me, e soprattutto, visto che l’argomento “obiettivi” mi è molto caro, ho apprezzato particolarmente quando ha parlato proprio di questo dicendo che l’obiettivo deve essere:

  • Misurabile
  • Confrontabile
  • Monitorabile
  • Specifico

“La pace del mondo non è un obiettivo a meno che non ti metti lo zaino in spalla e vai paese per paese a verificarlo di persona”. Grandissima, Vale (scusa la confidenza!).

Matteo Pogliani e gli influencer

Infine Matteo Pogliani ci ha illuminato sulla figura dell’Influencer, parola che, devo dire, da sempre mi sta sulle balle. Lui invece ne ha parlato con serietà nonostante i toni divertenti (per fortuna!) e ci ha mostrato l’utilità di questa figura.

Ma soprattutto quello che mi porto a casa è stato il sottolineare da parte di tutti l’elemento umano, persino lo stringersi le mani, incontrarsi, prendere il telefono e parlarsi.

Si pensa sempre che chi lavora nel web sia restio ai rapporti umani, beh, la foto qui di seguito, spiega bene quello che ne pensa la gente del web.

Web umano Matteo Pogliani

Nelle terre estreme di sé: Into the wild

copertina nelle terre estreme


Io amo il cinema. Questo chi conosce un po’ la mia storia lo sa bene.

Safari, il mio libro, si apre con una citazione di Fellini.

Il mio mestiere e la scelta di vivere a Roma sono state condizionate da questa passione viscerale.

Sono capace di macinare film e serie tv per ore e ore senza stancarmi.

Spesso arrivo a un libro dopo aver visto il film da cui è tratto.

In questo caso parliamo di un film diretto da Sean Penn, il ché già gli dà una certa credibilità, a cui si aggiungono una storia emozionante e panorami mozzafiato.

Un mix ben riuscito.

Ma sapevo che dovevo arrivare alle pagine di Jon Krakauer, nelle terre estreme di Chris McCandless.

Ho solo rimandato e oggi so il perché.

Nelle terre estreme: una lettura emotiva

È stata una lettura emotiva, penetrante e, a tratti, ho dovuto sospenderla.

Si sa che io sono affascinata da chi decide nella sua vita di fare un’impresa, di superare dei limiti (non importa di che natura).

Dice mia figlia: «Come al solito, a te piacciono queste storie qui».

Inevitabile che la storia di Chris mi avrebbe presa dalla prima all’ultima cellula.

Che poi questa confidenza che me lo fa chiamare “Chris”.

L’ho conosciuto solo attraverso gli occhi di Sean Penn e le parole di Krakauer, eppure quella sensazione di essere travolti nelle terre estreme di sé la conosco bene, un bisogno, quasi una necessità, a volte proprio un’impellenza che solo la natura può consentirti.

Quell’irrequietezza, quella “sovrabbondanza di energia che non trovava sfogo in una vita tranquilla (Lev Tolstoj)”, è una fidata compagna anche per me.

In tutta la lettura ero tormentata da domande come questa:

perché Chris McCandless ha voluto appositamente arrivare in Alaska senza provviste sufficienti, senza una bussola e, soprattutto, senza una mappa?

Chris è stato spesso additato come un ragazzino irresponsabile, nel pieno di una crisi esistenziale. Ma poteva trattarsi solo di arroganza?

Poteva solo essere un borghesuccio dell’America “bene” che odiava il capitalismo, uno che noi donne e uomini della strada definiremmo semplicemente “cog***ne”?

Il giudizio è una brutta bestia e annebbia la ragione.

E io ho sempre avuto chiaro che in nessun caso, nemmeno in quello più lontano dal mio sentire, ho il permesso di giudicare.

Figuriamoci qui, in una storia che sento appartenermi.

Non potevo crederci

No, io non ci credo. Ho continuato ad arrovellarmi, alla ricerca di una risposta.

Continuavo a chiedermi perché.

Perché si è liberato della mappa, una mappa che gli avrebbe mostrato che a pochi chilometri da quell’autobus in cui ha vissuto negli ultimi mesi della sua vita e in cui è morto, c’era la sua salvezza?

Sì, voleva trovare qualcosa di inesplorato dove di inesplorato ormai non c’era nulla.

E Krakauer afferma: “Si liberò (della mappa) per non esserne sviato. Nella sua mente, o chissà dove, in questo modo la terra si sarebbe mantenuta un’incognita.”.

Ma non mi bastava.

Chris McCandless scrive da persona lucidissima, non in balia di emozioni adolescenziali:

“C’è tanta gente infelice che tuttavia non prende l’iniziativa di cambiare la propria situazione perché è condizionata dalla sicurezza, dal conformismo, dal tradizionalismo, tutte cose che sembrano assicurare la pace dello spirito, ma in realtà per l’animo avventuroso di un uomo non esiste nulla di più devastante di un futuro certo. Il vero nucleo dello spirito vitale di una persona è la passione per l’avventura. La gioia di vivere deriva dall’incontro con nuove esperienze, e quindi non esiste gioia più grande dell’avere un orizzonte in continuo cambiamento, del trovarsi ogni giorno sotto un sole nuovo e diverso […] solo la vita simile alla vita di chi ci circonda, la vita che si immerge nella vita senza lasciar segno, è vera vita, che la felicità isolata non è felicità […] «Felicità è vera soltanto se condivisa».”

Cosa ci insegna Into the Wild?

Risposte non ne ho trovate. E credo sia giusto così.

In fondo le storie migliori sono quelle con un finale aperto.

Qui non c’è lieto fine. È vita vera, reale.

Ma come la sua storia è finita in una tragedia, ce ne sono molte altre che i protagonisti sono riusciti a raccontarci personalmente.

Chris ha cercato di inseguire il suo sogno e solo per questo non posso sminuirlo con definizioni prodotte da una realtà che lui disdegnava.

Quello che sento è che solo per averci provato, lo ammiro.

Non sono in tanti a farlo, a provarci intendo. Molti preferiscono rimanere nelle loro gabbie, nei luoghi che seppur intrisi di sofferenza, conoscono bene.

In questi casi non credo sia il coraggio a farti uscire dalla gabbia.

Credo sia la paura, la disperazione.

Perché quella disperazione ha una forza prorompente e in molti casi ti salva la vita.

Anche se a volte, come nel caso di Chris, non quella fisica.

Rete Parco degli Acquedotti

Non ho conclusioni per questo post.

Non chiedo di condividere necessariamente le mie osservazioni.

Ma mi piacerebbe confrontarmi rispetto a quell’urgenza, quell’impellenza che Chris sentiva, che a volte sento anche io e che, la maggior parte delle volte, mi porta nelle mie… Terre estreme.

Qualche curiosità su Into the Wild, nelle Terre Estreme

Dove è stato girato il film Into the Wild?

Il film Into The Wild è un road movie con una destinazione tanto ambita dal protagonista: l’Alaska.

Nel percorso attraverserà terre come l’Arizona, la California, il Nevada, l’Oregon, il South Dakota.

Dove si trova il bus di Into the Wild?

Il vero autobus 142 in cui Chris McCandless trascorse gli ultimi giorni della sua vita si trova a Fairbanks, nel museo del Nord dell’Università dell’Alaska ed è meta di pellegrinaggio per tutti coloro che hanno amato la sua storia.