Lalla bike & me per un mondo sostenibile

Era l’estate del 2013.

Mio marito cominciava a lavorare fuori città e io, per la prima volta nella mia vita da patentata, dicevo addio alla mia amata macchinetta.

‘Na tragedia!

Premettendo che vivo a Roma, con una figlia a carico, un sistema di mezzi pubblici non del tutto efficiente e considerando che ancora in quel periodo bazzicavo tra tribunali, uffici, asl e ospedali per le ultime lungaggini burocratiche dell’adozione… fai tu.

Ogni volta che uscivo per un documento, partivo per un’impresa che le avventure dell’Enterprise erano niente a confronto.

Un anno davvero sconfortante per una terrestre, mio caro signor Spock!

L’idea di una nuova macchina non era contemplata, figuriamoci di un’altra assicurazione. E vogliamo parlare della benzina?

Insomma la mia mobilità quotidiana era del tutto compromessa.

L’idea

Finché un bel giorno di primavera 2014 venne a trovarmi una mia amica che, sorridente e soddisfatta, sentenziò: “Sono venuta in bici”.

E io che per Roma consideravo la bici completamente OUT per via delle salite che, anche solo a pensarci, schiattavo, le chiesi ulteriori chiarimenti.

È una bici a pedalata assistita” – continuò lei – “Sì, certo, non è uno scooter ma va che è una bellezza”.

Boom! Lampadina accesa e via con le ricerche su internet.

Smanetta di qua, smanetta di là, io che di pedali, catene, cambi, etc., non avevo rimembranze dalla mia adolescenza, inizio a farmi una cultura. 

Ma la cosa che più saltava ai miei occhi è che, sì, ce n’erano di tutti i prezzi, di tutte le qualità, di tutti i pesi e le misure ma erano tutte assolutamente, inevitabilmente, ostinatamente… orribili!!!

Pardon, lo so che in questi casi non dovrei prestare il fianco all’esigenza di un’immagine gradevole, e so che adesso mi attirerò una valanga di critiche, ma bisogna pur rispettare la propria indole e io non volevo arrendermi a cotanta bruttura.

Almeno sono sincera, no?

Lalla bike al Gianicolo
Lalla Bike al Gianicolo

Lalla-Bike

Sta di fatto che alla fine l’ho trovata: la mia bici gemella.

E non mi dilungherò dicendo che ricorda quelle dei postini anni ’60, con la sua borsetta in cuoio e lo stile vintage, un comodissimo cestino per la spesa e, per i più competenti, tecnicamente valida (si capisce che la amo, vero?), ma ti dirò perché, da quando esploro Roma in sella alla mia Lalla-bike, la mia prospettiva di mobilità è radicalmente cambiata.

!!! Piccola digressione sul nome: Lalla era il soprannome con cui mi chiamava la mia migliore amica al liceo e il suono Lalla-bike mi ricorda tanto la parola inglese Lullaby. Just to know !!!

Sfatiamo il mito

Veniamo al sodo.

Innanzitutto sfatiamo il mito che non si possano macinare tanti km in bici a Roma.

Certo, bisogna fare massima attenzione alle buche (anzi ai crateri) che se ne prendi una, nel migliore dei casi, rischi di incrinare la colonna vertebrale.

Ma io ho pedalato in lungo e largo, in su e in giù, senza annaspare affatto come temevo.

Ho fatto scorciatoie che con la macchina te le sogni.

Ho superato decine di auto in coda con un sorriso da ebete stampato in faccia, e questo, ebbene sì, anche in salita.

Ho riscoperto il centro ma anche la periferia e mi sono accorta che quello che sembra un modo di muoversi lento in una metropoli frenetica, in realtà, mi permette gli stessi percorsi in un tempo identico se non minore che se usassi la macchina.

Una bella soddisfazione, non credi?

Andare in bici è un guadagno

Non sono necessariamente un’attivista ambientale sebbene creda nella nostra responsabilità sui cambiamenti climatici, ma il vantaggio di assicurazione e benzina in meno lo vedo concretamente nella mia vita.

E il grandissimo favore che faccio al mio fisico, decisamente meno palestrato di anni fa, non è meno concreto.

Ammetto apertamente che non vado in giro con Lalla-bike quando piove (non sono ancora psicologicamente pronta per questo) e che certamente l’automobile rimane il mezzo più comodo per scarrozzare la prole, ma sono sicura quando dico che un mondo urbano con più bici è fattibile e che, superati i pregiudizi assolutamente normali (li avevo anch’io) della prima ora, si possa scoprire una realtà, non una fantasia, percorribilissima e soprattutto un nuovo modo, decisamente piacevole, di vivere la propria città.

E tu hai optato per la bici al posto della macchina? Se vuoi, raccontami la tua esperienza in un commento.

La metafora del viaggio, metafora della vita

Mettimi un piedino su un aereo e sono una donna felice.

Sarà che quando ero piccola era così difficile viaggiare, forse anche a causa delle mie esigue finanze, forse perché non sono mai stata fuori dall’Italia prima di essere diventata adulta.

I motivi possono essere molteplici ma una cosa è certa: io adoro viaggiare.

Forse saprai che la parola Safari, che è anche il titolo del mio libro, in lingua swahili vuol dire viaggio, ma non tutti sanno che il suo significato completo è viaggio lungo attorno ad un punto.  

Angkor Wat
Il viaggio della vita: La bellezza di Angkor Wat

Metafora del viaggio

Una vera e propria metafora della vita, non credi?

In fondo noi nasciamo in un dato luogo, da dati genitori con dati fratelli, sorelle, zii, nonni, e poi viaggiamo verso la scuola, verso gli amici, l’università, il lavoro, i colleghi, i mariti o le mogli, i figli, gli hobby, etc.

Da quel punto partiamo e a quel punto torniamo sempre.

E allora perché andare verso paesi sconosciuti se tutto parte e torna qui?

A questo punto credo intervenga la propria storia personale.

Sì, perché io non voglio insegnare niente a nessuno, posso parlare solo per me e dare un contributo, per chi desidera ascoltare, con quello che ho vissuto personalmente.

Ho sempre invidiato le persone che stanno bene lì, dove si trovano.

Tranquille, pacifiche e soprattutto soddisfatte.

Io invece volevo andare via, voglio ancora andare via.

Guardarmi intorno, conoscere, vagliare opportunità, considerare novità continuamente: questo è il mio bisogno di sempre.

Ancora oggi, appena tocco terra straniera, mi entusiasmo come una bambina con gli occhioni sbarrati quando scopre un gioco nuovo.  

Il viaggio inteso come metafora della vita

In questo senso mi posso definire bulimica del viaggio.

In certi momenti penso che non avere avuto abbastanza soldi sia stato un limite perché avrei sicuramente viaggiato di più.

Adesso, per esempio, non scriverei dalle quattro mura di casa mia ma magari da un cottage di Bali con vista di palme da cocco e risaie a terrazza.

Ok, ok, torniamo qui che la mia testa era già altrove.

In realtà credo che non avere avuto tanti soldi, nella maggior parte dei casi, sia stata una fortuna.

Viaggiare con poco mi ha “costretto” a dormire lontana dai resort turistici, a mangiare in bettole dal gusto locale, a sedermi a fianco alla gente del posto, a provare a capire qualcosina del paese che in quel momento mi ospitava.

Non so se è stata solo fortuna ma io non mi sono mai ammalata, sfatando i miti di tutte le guide che ti mettono l’ansia su ogni genere di malattia sconosciuta.

Non voglio dire che bisogna affidarsi al caso o essere ingenui ma posso dire con certezza che, sebbene io non abbia né uno stomaco né una salute di ferro, ho avuto più mal di pancia e influenze in Italia che in giro per il mondo.  

Qui aprirei un’altra parentesi (e non lo farò) sul fatto che io somatizzo qualunque cosa e che ormai da tempo so che quando sono felice, non mi ammalo.

E quando viaggio, io sono felice. L’avevo già detto?  

Viaggio Boa Vista
Viaggio metafora della vita

Conoscere meglio quello che ho a casa

Credo che per me andare via voglia dire conoscere meglio quello che ho a casa, la mia famiglia, il mio paese, la tradizione, il modo di lavorare, di fare scuola, tutto quello che è la società in sé.

Andarmene per vedere le cose vicine da una prospettiva diversa, un pochino più lontana.

Aiutarmi a capire cosa c’è che mi piace qui e che voglio tenere così com’è.

E magari trovare, entrando in contatto con un’altra cultura, un altro modo di pensare, di vivere, il modo di cambiare quello che proprio non mi va giù di quest’Italia talmente splendida eppure così in degrado.  

E per te invece qual è il significato del viaggio e se anche per te ha un significato metaforico?

Se ti va, raccontamelo in un commento!

L’importanza di dire No!

Perché è importante dire di NO soprattutto se non sappiamo come dire No?

E come iniziare a dire no, se per vari motivi, per la nostra esperienza di vita, siamo state abituate/i a dire sempre di Sì?

In questo articolo metto nero su bianco una riflessione che viene dalla mia esperienza personale, perché io ero una che non sapeva dire di No, che non aveva la minima idea di quanto grande fosse il potere di dire No.

E soprattutto che non aveva capito quanto l’assertività, quanto dire di no senza sentirsi in colpa fosse sano per la propria vita.

Mi auguro che queste mie parole possano servire a te che mi leggi al di là di questo schermo se anche tu sei una persona che non sa dire No.

Saper dire di No
Foto by Pexel di George Becker

Quelle volte che ho detto No

Le volte che non ho detto di NO solo perché lo volevano gli altri, perché avevo paura del loro giudizio.

Quelle volte che, secondo “gli altri”, chiudevo la mia vita e invece la stavo aprendo, molto più di quanto avessi mai fatto prima.

La stavo aprendo a me, stavo dicendo alla mia vita: sì, ti seguo!

E lei era felice, finalmente felice.

Non esiste solo una prospettiva, un solo modo di fare le cose, una sola visione delle cose.

Io sono io e ho faticato, soprattutto con me stessa, per conoscermi, per vedermi, per accettarmi ed essere fiera di chi sono.

E là fuori è pieno di persone diverse che spesso non conoscono quella diversità e che si lasciano omologare, diventano generici, come altri mille, dieci mila.

Impara a dire di No per la tua felicità

Non è una critica a quei dieci mila, è soltanto che bisogna andare verso la propria felicità e la tua felicità la conosci solo tu, solo tu.

Dimentica che ci sia qualcuno che possa capirti.

C’è sicuramente qualcuno che può farlo ma, aspettando di trovarlo, rimani in prigione.

La prigione è quel lavoro che tu dai mille e ricevi uno, quel rapporto che tenti di cambiare e ti metti in discussione dalla mattina alla sera ma non cambia mai.

La prigione è ripeterti che devi avere pazienza e che, prima o poi, avrai qualcosa di meglio.

La prigione siamo per primi noi, che ci raccontiamo menate travestite da favole.

La chiave per uscire dalle sbarre è spesso riuscire a vedere questo, aprire gli occhi e guardare quello che abbiamo fatto della nostra vita.

Non è coraggio, è disperazione. Una disperazione sana che ti fa finalmente infilare quella chiave nella serratura e uscire dalla gabbia.

Hai mai visto gli animali in uno zoo? Una volta ho visto due lupi in una gabbia grande quanto il mio soggiorno e i lupi andare avanti e indietro, avanti e indietro, lungo il recinto.

Parlo di quella disperazione, avanti e indietro, avanti e indietro.

Come la conosco bene!

Finché non arriva il tempo che te lo sbrani quel recinto e quando sei fuori, hai tutta la tua vita che inizia in quell’istante.

Quelle volte che ho detto di NO… sono le volte che ho fatto felice la mia vita.

Brunella Roscetti: la ragazza “in gamba”

Brunella Roscetti monta americana

Quando ero ragazzina, ero una gran tifosa di calcio.

Nella mia cameretta non c’era il poster di un cantante grunge ma quello di Marco Van Basten. E questo dovrebbe dire tutto.

Da qualche anno però mi sono disamorata del calcio: scommesse, scandali, stipendi con troppi zeri, e dove vogliamo mettere le acconciature tamarre?

Poi ci sono discipline che sfornano campioni su campioni e di questi le cronache non parlano quasi mai, sebbene l’Italia ne sia piena.

Brunella Roscetti è una di questi.

Campionessa regionale di reining (equitazione western), campionessa italiana di dressage (equitazione anche questa) e dopo solo quattro mesi di allenamento, campionessa italiana di Para-rowing (canottaggio).

Tu dirai, cosa c’entra l’equitazione con il canottaggio?

La storia di Brunella Roscetti

È qui che entra in gioco la storia personale di Brunella, la storia di una donna innanzitutto, una donna che ama le sfide e non si ferma finché non le vince.

Una sportiva che un brutto giorno del 2006 ha subìto un intervento durissimo: l’amputazione al III medio della gamba sinistra.

E cos’ha fatto lei? Si è fatta scoraggiare o deprimere dalla situazione?

Brunella, insieme a un gruppo di tecnici che l’hanno seguita, ha messo a punto una protesi per montare in sella e ha ricominciato a galoppare e a vincere.

Nel 2013 Peppino Abbagnale (presidente della Federazione Italiana Canotaggio) l’ha voluta nella sua squadra di para-rowing. Ed ecco spiegato il mistero.

Adesso ti lascio alle parole di Brunella che, sì, è una grande atleta, ma innanzitutto, è un essere umano meraviglioso, di quelli di cui ci piace parlare in questo blog. Enjoy!

Brunella Roscetti in sella
Brunella Roscetti

Brunella Roscetti, la ragazza “in gamba”

N: Quello che emerge di te non è solo determinazione, forza e coraggio ma anche tanta allegria. Mi viene da chiederti: come fai?

B: Quando si tocca il fondo, quando vedi che la vita ti viene portata via per un errore medico, capisci che non puoi più stare a guardare. Devi reagire per dimostrare per primo a te stessa di potercela fare. Il sorriso mi viene spontaneo. Io sono una donna che apprezza la vita in ogni sfaccettatura. Sorrido alle piccole cose come alle grandi cose. Credo che sorridere sia molto curativo!

Brunella Roscetti

N: Ci racconti di quel momento in cui volevi mollare tutto ma…?

B: – Ho passato un anno dall’inizio della mia amputazione a pensare che la mia vita fosse finita insieme alla mia gamba. Poi un giorno sono andata a trovare un amico che ha una scuderia di cavalli Arabi. Era il giorno del mio compleanno, l’11 novembre. Mi regalai un viaggio per Parigi per andare a vedere proprio il salone dei cavalli Arabi. Mentre i miei occhi si perdevano a guardare questi esseri favolosi, la mia mente pian piano cominciava a risvegliarsi. Pensai: come faccio? Cosa mi invento per tornare a cavalcare? Da qui partì la scommessa con me stessa. Cominciai ad informarmi, a cercare e soprattutto a credere. Con l’aiuto dell’Inail di Roma, dell’Ing. Gennaro Verni e del Tecnico Franco Mele, iniziammo a costruire la prima protesi. Da quel giorno sono assetata di voglia di fare.

N: Qual è il tuo prossimo obiettivo?

B: Oddio, ne ho molti però, questa volta, per scaramanzia, sto zitta. Prometto che vi informerò dopo i risultati .

N: Ti senti unadonnaalcontrario?

B: Mi sento una donna fortunata e fantastica che ama la vita e si impegna per aiutare gli altri in primis, poi se stessa.